I professori della sezione 22 del Sindacato Nazionale e numerosi aderenti alla APPO (Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca) hanno sfilato sabato, 27 ottobre, per le strade di Oaxaca, Messico, e sull’autostrada Ciudad Alaman-Puerto Angel.
La manifestazione, nelle sue due vertenti, ha raccolto oltre 15mila persone per commemorare il primo anniversario della scomparsa dell’insegnante Emilio Alonso Fabián e del giornalista statunitense Bradley Roland Will, ucciso nei pressi della barricata Calicanto, in località Santa Lucia, durante il conflitto tra la polizia e la APPO che chiedeva la destituzione del governatore Ulises Ruiz. Gli abitanti del quartiere hanno eretto una croce di legno e hanno decorato lo spazio circostante con sabbia colorata, fiori e candele com’è d’abitudine nelle celebrazioni in onore dei defunti.
Quei giorni della fine di ottobre del 2006 segnarono anche l’ingresso della Polizia Federale Preventiva (PFP) e la conseguente militarizzazione della città di Oaxaca con la pretesa di risolvere il conflitto che durava da circa sei mesi. Era la risposta delle autorità federali da Città del Messico agli omicidi che si sono commemorati questo fine settimana e che erano stati perpetrati dagli stessi oppositori del movimento dei docenti e della APPO.
Le due manifestazioni si sono dirette verso la piazza centrale della città dove hanno preso la parola il segretario del sindacato dei docenti di Oaxaca, Ezequiel Rosales; Karina Sosa, figlia di Flavio Sosa, il noto portavoce del movimento incarcerato il 4 dicembre scorso, e due consiglieri della APPO, Marcelino Coache e Castulo Lopez.
Il sindacalista Rosales ha annunciato che l’assemblea statale dei docenti ha accettato dal Governo locale un indennizzo in forma di fedecommesso di 25 milioni di pesos (circa 220mila dollari USA) per i parenti di 16 vittime del conflitto dell’anno scorso.
Il principale timore espresso dai partecipanti alla marcia e dalla Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani riguarda la caccia alle streghe in parte già scatenatasi contro i simpatizzanti e i membri dei movimenti sociali dalla Procura Generale della Repubblica (PGR) che sta investigando parallelamente gli avvenimenti del 2006 e anche l’omicidio di Brad Will, che, dagli ultimi dati a disposizione, risulta essere stato ucciso da due colpi di pistola esplosi sicuramente da elementi esterni alla APPO.
Di fatto, le paure non sono ingiustificate visto che, anche quest’anno, in manifestazioni pacifiche la violenza delle forze dell’ordine è esplosa di nuovo contro i membri della APPO e del sindacato[2].
Vi sono, infatti, oltre 169 attivisti politici, la metà appartenenti ad alcuna etnia indigena e legati a conflitti per il possesso e la gestione della terra, i quali sono ancora incarcerati in 9 stati diversi della Repubblica Messicana.
Questi rappresentano il triste retaggio, ma anche la sfida per il futuro, lasciato dalle ultime annate dell’ex Presidente Vicente Fox, attualmente sotto inchiesta per l’acquisizione sospetta di benefici e di proprietà durante il suo mandato, e dei primi 12 mesi del nuovo Presidente, contestato dall’inizio per il controverso processo elettorale che l’ha portato a una vittoria dubbiosa e viziata.
Nei sette anni di governo del Partido Accion Nacional (PAN) in alleanza con il PRI (Partido Revolucion Institucional) sono oltre 900 le persone passate dalle carceri per motivi politici che vanno dalle rivendicazioni per la terra all’ecologia, dalla difesa del posto di lavoro alla lotta per la promozione e il rispetto diritti umani, dalla difesa degli usi e costumi locali ancestrali all’adesione a movimenti sociali come la otra campaña dell’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN).
Sono in carcere anche 12 ex-appartenenti a gruppi armati dei quali solo alcuni hanno riconosciuto la loro militanza in tali organizzazioni mentre altri, come i fratelli Hector e Antonio Cerezo (sito del Comitè Cerezo: http://espora.org/comitecerezo ), sono stati accusati e imprigionati ingiustamente per coronare una strategia della tensione e costringere alla resa i gruppi ai quali sarebbero legati come l’EPR (Esercito popular Revolucionario) di Oaxaca.
Dalle proteste di Guadalajara del 2004, represse dall’attuale Ministro dell’Interno messicano, Francisco Ramírez Acuña, alle più recenti di Atenco e Oaxaca nel 2006 e 2007, è stata adottata una strategia contraria al dialogo e all’istituzionalizzazione dei conflitti che, a causa anche della debolezze del governo, a vari livelli, e della cultura fortemente autoritaria di cui è impregnata la società, ha condotto alla radicalizzazione delle domande sociali, disattese su tutti i piani, così come alla serrata delle autorità.
L’immagine che rimane all’osservatore impotente è quella dei grandi contingenti, spropositati e armati fino ai denti, che fronteggiano la gente comune, le donne e i bambini, ed i gruppi duri di militanti, armati con quanto si può, in una lotta che si disperde a suon di arresti arbitrari, nubi di gas lacrimogeno, abusi del povero contro il povero, impunità e frustrazione popolare. Alla fine sembra vincere sempre la violenza in una spirale di crescente incomprensione e risentimento.