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a strage di Ayotzinapa è il risultato del neoliberismo; Intervista all’attivista e difensore di diritti umani messicano Antonio Cerezo Contreras

Sábado 29 de noviembre de 2014, por Acompañamiento

La strage di Ayotzinapa è il risultato del neoliberismo

di Riccardo Carraro

Intervista all’attivista e difensore di diritti umani messicano Antonio Cerezo Contreras

La situazione in Messico è in costante ebollizione. A Città del Messico, l’ultima grande manifestazione per esigere verità e giustizia per Ayotzinapa, venerdì 21 novembre, è terminata con feriti, scontri e 11 arresti. I ragazzi detenuti sono stati portati in carceri di massima sicurezza in zone isolate del paese, con limitati contatti con l’esterno.

Lo stato ha scelto la linea dura contro il movimento popolare che, dopo i fatti di Ayotzinapa continua ad ingrandirsi. Abbiamo parlato di questi fatti, per comprenderli ed approfondirli, con Antonio Cerezo Contreras.

Antonio era uno studente della UNAM di Città del Messico quando, nell’agosto del 2001 è stato arrestato con l’accusa di terrorismo. Non è mai stato provato nulla contro di lui, ma ha trascorso 7 anni e mezzo in carceri di massima sicurezza, come prigioniero di coscienza.

Nel 2009 esce dal carcere e torna all’attivismo politico, come difensore di diritti umani, all’interno del Comitè Cerezo Mexico (comitecerezo.org), un comitato nato proprio per sostenere il suo caso ed oggi trasformatosi in una organizzazione di riferimento per il movimento messicano, in termini di analisi politica, difesa di diritti, e formazione per difensori e attivisti.

Assieme al Comitè, Antonio sta lavorando intensamente in questi giorni di grande fermento.

I fatti di Ayotzinapa hanno colpito molta persone in Italia, visto che nel nostro paese circolano poche notizie sul Messico, purtroppo anche in ambienti alternativi. Voi però, anni fa, già parlavate di terrorismo di stato. Perché? Cosa lo ha generato?

Nel 2011 il Comitè Cerezo Messico sostenne che lo Stato messicano si trovava in un processo di trasformazione in stato terrorista, e questo nel contesto della politica di “guerra e/o lotta” contro la delinquenza che portava avanti il governo di Felipe Calderòn (2006-2012).

Basavamo la nostra affermazione sulla seguente analisi. Lo stato aveva costruito la figura del nemico interno, i narcotrafficanti e la delinquenza erano stati catalogati come tali e pertanto come soggetti alla applicazione di norme legislative speciali, ma il problema maggiore è stato che con tali leggi chiunque poteva essere considerato delinquente, cioè si è perso il principio di innocenza e da allora, come cittadini, dobbiamo dimostrare la nostra stessa innocenza.

Questa politica ha favorito l’aumento della tortura, delle esecuzioni extragiudiziali e della desapariciòn forzata sia in generale che in special modo contro attivisti politici o difensori di diritti umani. Nello stesso 2011, a Marzo, venne in Messico il gruppo di lavoro sulla desaparicion forzata dell’ONU, e già in quella occasione, come membri della Campagna Nazionale contro la Desaparicion forzata presentammo un primo report a questo gruppo, nel quale documentavamo 33 casi di scomparse forzate per motivi politici. Come organizzazione documentammo anche casi di prigionieri per motivi politici ed esecuzioni extragiudiziali: l’aumento di questi casi ci mostrava che lo Stato applicava la violenza di carattere politico mascherandola da lotta alla delinquenza.

Oltre alla costruzione del nemico interno, lo Stato criminalizzò l’esercizio dei diritti umani, creando leggi che illegalizzavano diritti quali l’autorganizzazione e la protesta sociale.

In molti casi le esecuzioni extragiudiziali, le scomparse forzate e la tortura erano commessi da gruppi paramilitari, cioè gruppi protetti, creati o commissionati dallo stato: il paramilitarismo si era convertito nella mano invisibile dello stato per nascondere le proprie responsabilità. Riassumendo, è stata la documentazione dei casi di gravi violazioni a diritti umani che ci permise di dire, già nel 2011, che lo stato messicano si stava configurando come stato terrorista.

Credi che con Ayotzinapa siamo assistendo ad un passo avanti nella strategia dello stato o semplicemente è scappata dal controllo la dimensione della vicenda? Ayotzinapa sarà uno spartiacque?

Ayotzinapa è il risultato della politica dello stato messicano finalizzata all’inasprimento del modello neoliberista e basata nell’imposizione dello stesso, con la violenza, contro la propria popolazione. E’ un fatto inedito per la quantità di persone che sono state arrestate e sono scomparse in modo forzato, per mano dello stato e contemporaneamente, ma è necessario ricordare che esistono in Messico più di 25 mila desaparecidos, secondo le cifre più conservatrici, e più di centomila vittime di esecuzioni extragiudiziali e tortura.

Quello che lo stato non ha previsto è stata la reazione davanti al fatto, e in questo senso sì, si può convertire in uno spartiacque anche se non è ancor chiaro quali sentieri seguirà e con che risultati.

Che legame c’è tra le riforme strutturali del governo e la repressione di questi giorni?

Solo in questo 2014 sono state approvate 5 riforme strutturali: la riforma della legge federale sul lavoro, la riforma energetica, la riforma delle telecomunicazioni, quella educativa e quella fiscale. Tutte hanno come obiettivo garantire il maggiore sfruttamento della manodopera e, nel concreto, legalizzano la perdita di diritti del lavoro, legalizzano la sottrazione di terre alle comunità, affinché queste vengano sfruttate per fare miniere, costruire dighe, costruire centrali di energia eolica, seminare coltivazioni transgeniche o generare combustibile attraverso la semina di piante. Tutte le riforme fanno scomparire o limitano diritti umani della popolazione, e questo ha generato una risposta organizzata in molti casi, spontanea in altri, però in generale hanno generato malcontento e indignazione. La repressione è stata la risposta dello stato davanti la situazione che esso stesso ha provocato e anche se Ayotzinapa non è un risultato diretto delle riforme, è un risultato tristemente normale a causa di una politica che le impone con la forza.

Le mobilitazioni in tutto il paese continuano ad essere impressionanti. Cosa ne pensi? Può essere che generino un nuovo ampio movimento sociale che riscatti la sinistra messicana? C’è qualcosa di nuovo se confrontate con le ultime grandi mobilitazioni nazionali? (Yosoy132 nel 2012, e Paz con Justicia y Dignidad guidato da Javier Sicilia nel 2011)

Quello che c’è di nuovo rispetto al movimento guidato da Sicilia è che qui è stata colpita una organizzazione sociale, la Federazione di Studenti Contadini Socialisti del Messico, e perciò la maggior parte delle organizzazioni sociali si sono mobilitate in risposta e molte vedono quanto avvenuto come un precedente preoccupante: un domani le scomparse forzate o i massacri si possono normalizzare come metodo di repressione contro il movimento sociale in generale.

Non possiamo ancora sapere se questo genererà un nuovo movimento sociale che a livello politico impulsi richieste di trasformazione sociale e che riscatti la necessità di costruire una nuova sinistra. Al momento non sono chiari ancora gli obiettivi politici del movimento che ne può nascere, finora è giunto solo a esigere le dimissioni di Peña Nieto, ma più come fatto clamoroso o di sentimento popolare che come la richiesta di un movimento organizzato.

Quasi paradossalmente mentre uscivano le sentenze del Tribunale Permanente dei Popoli-capitolo Messico accadono i fatti di Ayotzinapa. Credi che il lavoro del tribunale possa servire in qualche modo? In che forma?

Il lavoro di tre anni del TPP1 può servire sempre e quando noi organizzazioni che abbiamo preso parte emettiamo la nostra sentenza finale, così da rendere pubblici gli atti di terrorismo di stato che si sono vissuti nel nostro paese. Abbiamo bisogno di leggere e studiare quanto è stato prodotto dalla tutte organizzazioni che hanno partecipato alla realizzazione del TPP per condividerlo con chi non ha partecipato e successivamente, sensibilizzare la popolazione messicana e quella di altri paesi. Dovremo cercare le forme più efficaci per socializzare quanto prodotto e per usarlo a nostro favore.

Nel metro di Roma ogni giorno ci sono pubblicità che invitano a viaggiare in Messico, il paese delle meraviglie, musica, mare, sole, paesaggi. Cosa possiamo fare, a tuo parere, da qui, per una solidarietà vera, e per decostruire questa immagine?

In primo luogo informare in modo preciso e approfondito rispetto a quanto accade in Messico in merito alle gravi violazioni ai diritti umani. Senza informazione non è possibile poter comparare il contenuto della pubblicità turistica con la realtà della popolazione che riceverà i turisti. E’ un obbligo delle organizzazioni messicane cercare di dare informazioni ai nostri compagni in Europa e in Italia nello specifico, perché loro possano a loro volta diffondere quello che succede nel nostro paese.

Diffondere l’informazione e creare processi di sensibilizzazione nella popolazione italiana possono essere strumenti che ci permetteranno di decostruire quell’immagine paradisiaca dei vari luoghi belli che ci sono nel nostro paese.


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